Tumore al fegato, cambio «epocale» di terapia: il trapianto è la cura più efficace anche in stadio avanzato. Uno studio tutto italiano, pubblicato su The Lancet Oncology e coordinato dall’Istituto Tumori di Milano, dimostra la superiorità del trapianto su tutte le altre terapie non-chirurgiche.
Il tumore del fegato è il quinto «big killer», dopo polmone, colon-retto, mammella e pancreas. Sono circa 12.600 i nuovi casi diagnosticati in Italia nel 2019 e il 90% dei casi è rappresentato dall’epatocarcinoma, che nella gran maggioranza dei casi si sviluppa in pazienti con cirrosi. La chirurgia è un’opzione riservata a una minoranza di malati, perchè solo il 10% di loro arriva alla diagnosi in fase iniziale, quando l’intervento può essere risolutivo. Ora, però, uno studio coordinato dall’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e appena pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica The Lancet Oncology, dimostra che il trapianto di fegato si conferma la terapia più efficace per il carcinoma epatocellulare e ne espande notevolmente le potenziali indicazioni. Lo studio, che ha coinvolto nove Centri Trapianti italiani ed è durato nove anni, rappresenta un esempio virtuoso di collaborazione e di sinergia tra strutture pubbliche, reso possibile anche grazie ai fondi del Programma della Ricerca in Oncologia del Ministero della Salute (è stato ideato e coordinato su base accademica isenza sponsorizzazioni di aziende o enti privati).
Un cambio importante
«Per la prima volta viene ufficialmente sottolineata la validità del trapianto anche per quelle forme di tumore epatico che per la loro dimensione superano i limiti definiti dai Criteri di Milano, ovvero i parametri utilizzati comunemente in tutto il mondo per selezionare i pazienti candidabili al trapianto, anch’essi elaborati anni fa dal gruppo di chirurghi e oncologi dell’Istituto Nazionale dei Tumori (INT) milanese – spiega Vincenzo Mazzaferro, direttore della Chirurgia generale a indirizzo oncologico 1 (Epato-gastro-pancreatico e Trapianto di Fegato) all’INT, nonchè ideatore e coordinatore dello studio -. I risultati dimostrano che se le forme più avanzate di tumore vengono “contenute” nella loro estensione per sufficiente tempo e con sufficiente efficacia, il trapianto ottiene risultati analoghi a quelli osservati per le forme più iniziali di tumore. Insomma, la ricerca espande notevolmente le potenziali indicazioni e che dimostra la superiorità del trapianto su tutte le altre terapie non-chirurgiche attualmente utilizzate per questa malattia».Un cambio di rotta importante perchè il 90% dei pazienti scopre la malattia in fase avanzata, poichè agli stadi iniziali è silenziosa e non dà alcun segno della sua presenza. Per questo le percentuali di guarigione sono ancora basse: solo un quinto dei pazienti è vivo a cinque anni dalla diagnosi.
Trapianto anche per forme avanzate
Lo studio ha coinvolto 74 pazienti tra i 18 e i 65 anni di età, con carcinoma epatocellulare, senza metastasi, sottoposti a varie terapie per ridurre le dimensioni del tumore. I partecipanti sono stati quindi assegnati a due gruppi: il primo è stato sottoposto al trapianto di fegato e il secondo ha continuato a essere seguito con le altre terapie non chirurgiche oggi disponibili. I risultati osservati indicano che a cinque anni dalla diagnosi, la sopravvivenza libera da eventi tumorali è stata del 76,8% nei trapiantati e del 18,3% fra gli altri. «Gli esiti elevano la credibilità della chirurgia oncologica in generale e danno dimostrazione dell’efficacia e della qualità ed efficacia del trapianto come non era mai stata ottenuta a livello internazionale – aggiunge Mazzaferro –. I dati emersi per la prima volta suggeriscono che, sulla base della risposta alle terapie loco-regionali contro i tumori epatici, oggi possono essere candidati al trapianto anche pazienti con forme intermedie o avanzate che fino ad ora venivano escluse da questa opzione. Quest’analisi è una pietra miliare nella storia delle terapie per il carcinoma epatocellulare e cambia l’attuale paradigma nel trattamento di questa importante forma tumorale: abbiamo la conferma che il trapianto di fegato può essere parte della cura di questo tumore in qualsiasi momento della sua storia, ovvero in qualsiasi momento si osservi una sufficiente “risposta” alle terapie per un sufficiente periodo di tempo». I Centri che hanno contribuito allo studio e che negli anni hanno costruito una collaborazione di tale portata sono: l’Istituto Nazionale dei Tumori IRCCS di Milano con il Dipartimento di Oncologia dell’Università di Milano, l’Ospedale Cà Granda di Niguarda con l’Università Bicocca, l’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, la Città della Salute e della Scienza e l’Università di Torino, l’Ospedale Maggiore Policlinico IRCCS di Milano, l’Ospedale e l’Università Politecnica di Ancona, l’Università Tor Vergata e la Sapienza di Roma, l’ISMETT di Palermo.
La donazione di organi
Per Massimo Cardillo, direttore del Centro nazionale trapianti, «con questo studio l’Italia dei trapianti si conferma una realtà all’avanguardia a livello mondiale anche per la ricerca clinica, oltre che sotto il profilo chirurgico e organizzativo. Sono ben nove i centri della Rete trapiantologica del Servizio sanitario nazionale che hanno contribuito a questo lavoro, che comprova il valore del trapianto come terapia salvavita, una possibilità che grazie al nostro sistema sanitario solidaristico è accessibile a tutti. L’unico limite resta il numero ridotto di organi a disposizione rispetto al numero dei pazienti in attesa: in questo momento circa 9mila persone aspettano un trapianto ma ogni anno gli interventi sono meno di 4mila. Per questo, se da un lato è necessario continuare a investire nella ricerca, dall’altro è fondamentale diffondere nel nostro Paese una più forte cultura della donazione degli organi, senza la quale i trapianti sono impossibili. Questo studio è l’ennesima dimostrazione che la decisione di donare gli organi è una scelta che non costa nulla a chi la compie ma che salva realmente la vita di chi riceve il trapianto». Secondo Mazzaferro molte cose ora sono destinate a cambiare: innanzitutto i vari gradi di risposta del tumore alle terapie identificheranno gruppi di persone a maggiore o minore necessità di trapianto e ciò contribuirà a una maggiore equità e trasparenza nella allocazione degli organi. Inoltre, poiché la possibilità del trapianto diventerà dipendente dal risultato delle altre terapie, il lavoro multidisciplinare tra le varie specialità si rafforzerà aiutando a centralizzare sui Centri Trapianto la cura di questa patologia tumorale. Infine, il lavoro del chirurgo associato alle tante terapie farmacologiche oggi disponibili può contribuire a un notevole risparmio di risorse, sia tecnico-assistenziali che economiche.
Da Corriere della Sera – Sportello Cancro – 9 luglio 2020